Sono Albert, anno 1999.
Ho studiato grafica al liceo artistico Giuseppe De Nittis (ora viene chiamato De Nittis/Pascali). Ora frequento l’accademia di Belle Arti di Bari, corso di Pittura, che al biennio di specialistica diventerà corso di Pittura Nuove Tendenze.
Come ti sei avvicinato all’arte?
Andando indietro nel tempo, ricordo di aver visto un disegno e di aver pensato “ecco cosa voglio fare da grande! Voglio essere il più bravo di tutti!”.
Ma solo molto più tardi ho sviluppato in me quella maturità e consapevolezza che mi hanno portato a scegliere un percorso di questo tipo.


Quali sono le principali tecniche impiegate per realizzare i tuoi lavori?
Nasco come Digital Artist, un po’ in seguito allo studio della grafica a scuola e un po’ da autodidatta.
Ora vario ed esploro diverse tecniche scegliendo spesso anche penne, matite colorate, pennarelli, acquerelli e di recente mi sto focalizzando sulle tecniche “universalmente” accettate come tradizionali, fra cui acrilici e colori ad olio.
Ma non lo nascondo mai: ho toccato prima la tavoletta grafica e poi la tavolozza.
Guardando gli artwork pubblicati sul tuo Instagram abbiamo notato che molti soggetti dei tuoi lavori sono personaggi ricorrenti, tanto da assumere vita propria. Cosa rappresentano per te i tuoi personaggi?
Ogni mio personaggio ha una propria storia, prova stati d’animo che cambiano nel tempo e segue un percorso esistenziale che è un costante work in progress di cui ogni tanto appunto qualcosa per non dimenticarlo. Ultimamente lavoro con personaggi che sono più vicini a me in termini di estetica ed esigenze espressive, ma tutti quanti hanno in comune il bisogno di confrontarsi con le proprie emozioni, le debolezze e il bisogno l’uno dell’altro.

Che ruolo ha avuto l’arte nel tuo percorso di esplorazione e conoscenza di te stesso?
Fondamentale.
Spesso prima ancora di parlare ho bisogno di “sfogarmi” con le immagini, fotografare le mie emozioni. Questo mi fa anche sentire meno solo, semplicemente guardando quelle immagini.
Durante il mese del Pride tutto si riempie di arcobaleni e immagini positive e patinate. Tu cosa pensi del Rainbow washing (sia dal punto di vista grafico che contenutistico)?
Nel caso del Rainbow washing, lo trovo una risposta-soluzione ad un problema molto più grande e complesso: la rappresentazione.
Quando è giusto e quando no? La risposta deve arrivare dalla comunità stessa, che può avere all’interno anche opinioni molto differenti.
Da artista, se da una parte sono contento di vedere più personaggi trans/LGBT+ inclusi in film/serie/arte visiva/altri media, dall’altra mi chiedo se sono stati coinvolti artisti LGBT+ in prima persona e se vengono incentivati lavori LGBT+ di qualità con appropriato ritorno economico e di visibilità mediatica. Siamo sempre qui e siamo sempre stati presenti, ma troppo spesso nascosti o rimasti in contesti di nicchia.

A che età hai realizzato di non sentirti appartenente al genere assegnato alla nascita? E qual è stata la prima persona con cui ne hai parlato?
Mi resi conto che qualcosa non andava intorno ai 14/15 anni ma ora, anche grazie alla terapia, mi sono reso conto di come alcuni aspetti erano tipicamente maschili già da piccolissimo.
Le prime persone con cui ho parlato sono mia madre e mia zia, anch’essa trans.
In realtà, è come se da piccolo non ci facessi minimamente caso ma una volta arrivata la pubertà, ho sentito subito di dover invertire la rotta.


Cosa risponderesti a chi vede l’esistenza stessa del “non-binario” come un attacco ai generi tradizionali?
Credo che negli ultimi anni, a seguito delle richieste sempre più insistenti da parte della comunità LGBT+ (e non solo), molti hanno rafforzato la loro posizione di radicale ostilità proprio per paura del cambiamento, aggravato dal timore che la propria “normalità” possa venir distrutta o che possa inevitabilmente scomparire. Ma non è così.
L’esistenza stessa del non-binary ci dimostra solo come la nostra intera vita non è un’opposizione di bianco e nero, come invece spesso ci viene raccontato.
Anche se il riconoscimento della non-binarietà non è necessario per te, non importa, perché per qualcun altro, magari un tuo amico o una persona cara, è fondamentale. Il riconoscimento certamente gli/le cambierà la vita in meglio.
La diversità colora, scuote la nostra esistenza e quella degli altri. Chiediamo che ci sia spazio anche per noi e non solo nelle giornate a tema o quando si dimostra più comodo ai fini politici.
Tu sei l’autore di 4 delle opere esposte nell’ambito della mostra “Beyond the transition”. Sono tutti scorci intimi e intimisti, molto potenti dal punto di vista emotivo. Come si interfacciano questi scorci con il tuo percorso di auto-esplorazione e auto-determinazione?
Mi collego alla domanda precedente sui personaggi, perché alcuni dei miei personaggi sono più in sintonia con me, per storia e vissuto, più vicini alla mia vita, insomma. Non sono autobiografici in sé, ma rappresentano frammenti che in qualche modo si collegano.
Quali siano è compito dell’osservatore deciderlo, lascio che siano gli altri a scoprirlo…

In una delle tue illustrazioni parli di autismo e di come, assieme alla disforia, possa provocare una sorta di spaccatura dentro. Il tutto, è sempre aggravato dalla dilagante disinformazione che rende complessi i rapporti interpersonali. Cosa vorresti consigliare a chi si interfaccia per la prima volta con una persona autistica? E cosa assolutamente sconsiglieresti?
Ogni persona autistica è unica.
La difficoltà nel parlarne nasce proprio dalla vasta varietà che esistere all’interno dello spettro.
Io stesso, Asperger e plus dotato, potrei affermare una cosa giusta per molti, ma inopportuna per altri che ad esempio riscontrano più difficoltà, o hanno poco supporto.
Il consiglio che mi sento di dare è: se incontri una persona autistica, prova semplicemente a conoscerla, anche quando i meccanismi sociali (small talk ad esempio) sono del tutto – o in parte – differenti da quello che fai di solito con i tuoi amici.
Sconsiglierei, invece, di limitarsi alle storie ascoltate in tv, perché di solito sono descritte e raccontate dalle famiglie che non sono il centro della questione. Una persona autistica va ascoltata e non trattata come se avesse una malattia terminale per cui cercare disperatamente una cura (che non esiste – si nasce e si muore autistici, si diventa bravi solo a nasconderlo dall’esterno).


Adesso una domanda frivola: dove ti piacerebbe vedere esposte le tue opere?
Oddio, difficile! Mi piacerebbe fare tante cose. Esporre le mie opere, pubblicare le mie storie, fare collaborazioni. Voglio vivere di arte circondato da arte.
Tre profili instagram seguiti, tre libri, tre film e tre canzoni/gruppi o album.
Profili Instagram:
Fyodor Pavlov (@fydorpavlov), Julian Miholics (@julianmiholics), Alex Kacha (@alexandrakacha)
Libri: “La tua vita e la mia” Majgull Axelsson; “Lucernario” Josè Saramago; “Tira fuori la lingua” – Ma Jian
Film: “Paris is Burning” Jennie Livingston – “The Grand Budapest Hotel” Wes Anderson – “Persona” Ingmar Bergman
Album: HOPELESSNESS – Anohni / Paris, Lisboa – Salvador Sobral / A Casa Tutto Bene – Brunori Sas
Le immagini sono di proprietà dell’artista: https://www.instagram.com/albert_exa/?hl=it
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